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13 Giugno 2016
Cassazione Civile: Legittimo il rifiuto di lavorare in assenza di sicurezza
Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 19/01/2016 n° 836
In caso di violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c., il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di eseguire la propria prestazione, ma resta fermo il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore.
È quanto ha stabilito la Suprema Corte nella presente sentenza.
Nella fattispecie, alcuni dipendenti di un noto gruppo automobilistico, addetti all'assemblaggio delle portiere delle auto, convenivano il datore di lavoro esponendo che, a causa della caduta di diverse portiere, dopo l’ennesimo episodio, si erano rifiutati di proseguire il lavoro sino a quando l'azienda non avesse adempiuto agli obblighi in materia di sicurezza. Intervenuta la squadra di manutenzione, dopo un'ora e 45 minuti circa, avevano ripreso il lavoro ma l'azienda gli aveva addebitato la retribuzione corrispondente al fermo di un'ora e 45 minuti, qualificando il rifiuto della prestazione come sciopero. I lavoratori chiedevano quindi la condanna della società a rimborsare l’indebito trattenuto.
Il giudice di primo grado rigettava il ricorso, ritenendo che la non gravità dell'inadempimento datoriale escludesse l'applicabilità dell'art. 1460 c.c.
La Corte di Appello accoglieva invece il gravame affermando che "dall'applicazione dell'art. 1460 c.c. deriva direttamente una posizione di mora credendi del datore di lavoro che non è quindi liberato dall'obbligazione relativa alla corresponsione della retribuzione relativa all'arco temporale in cui la prestazione lavorativa non ha avuto luogo; una soluzione di diverso segno risulterebbe contraria ai principi dell'ordinamento, dal momento che, in presenza di un'astensione legittima, ed essendo esclusa la fattispecie dello sciopero, proprio sul piano della corrispettività delle prestazioni non ne può derivare un danno al soggetto che ha subito l'inadempimento datoriale".
La Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi sulla questione, nel confermare la pronuncia di secondo grado, ha precisato che ai sensi dell’art. 2087 c.c. è obbligo del datore di lavoro assicurare condizioni idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni ed adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. La violazione di tale obbligo legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo in autotutela l'inadempimento altrui. Inoltre, in questi casi, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, il lavoratore conserva il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore (Cass. n. 6631 del 2015).
Ora, nel caso de quo, i lavoratori hanno posto a fondamento della loro azione ex art. 1460 c.c. l'inadempimento datoriale per violazione dell'art. 2087 c.c., descrivendo il fatto materiale dal quale poteva evincersi una condotta della società contraria agli obblighi in materia di misure di sicurezza.
Nei contratti a prestazioni corrispettive, quando una delle parti giustifica il proprio comportamento inadempiente con l'inadempimento dell'altra, occorre procedere ad una valutazione comparativa del comportamento dei contraenti anche con riguardo ai rapporti di causalità e di proporzionalità delle rispettive inadempienze in relazione alla funzione economico-sociale del contratto ed ai diversi obblighi su ciascuna delle parti gravanti. Tanto al fine di stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell'altra di eseguire la prestazione dovuta.
Ciò posto, costituisce consolidato principio di legittimità quello secondo cui la valutazione della gravità dell'inadempimento contrattuale è rimessa all'esame del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici e giuridici.
E nel caso in esame il giudice di secondo grado aveva correttamente rilevato che “la gravità di tale evento, in correlazione con gli obblighi di sicurezza e di prevenzione gravanti sul datore di lavoro, era desumibile dalla circostanza, riconosciuta dall'azienda medesima, che la caduta di una portiera avrebbe potuto provocare seri danni all'addetto che ne fosse stato investito. Sotto il profilo della proporzionalità della reazione, la sospensione della prestazione si era protratta per il tempo strettamente necessario per consentire l'intervento dei manutentori, dopo di che i lavoratori, rassicurati dall'intervento aziendale, avevano ripreso a lavorare”.
Si allega il testo della sentenza.
1465835774-sicurezza-violata-legittimo-il-rifiuto-di-lavorare.pdf